La scuola che verrà. Test e meritocrazia negli Usa, di Francesca Nicola. Dal n. 18 de “GLI ASINI”

Gli esiti problematici dell’ultima riforma della scuola americana tesa a migliore gli standard educativi attraverso una precisa valutazione dei risultati scolastici degli alunni, della professionalità dei singoli docenti e dell’efficienza degli istituti. L’uso sistematico dei test per favorire la trasparenza meritocratica rischia di scoraggiare lo spirito critico, costruire intelligenze contabili e spingere gli insegnanti a scorrettezze pur di salvare il posto di lavoro.

Mentre vari Paesi europei discutono sulla possibilità di fornire una maggiore autonomia scolastica alle regioni, l’amministrazione degli Stati Uniti da tempo si muove in direzione opposta, introducendo vincoli all’elargizione di fondi federali.

Ne è un esempio No Child Left Behind (NCLB), la riforma del sistema scolastico americano approvata pressoché́ all’unanimità dal Congresso e ratificata dal presidente Bush nel 2002. Obiettivo dichiarato della legge il miglioramento della qualità dell’istruzione pubblica, in particolare per gli alunni svantaggiati e le minoranze etniche (donde il titolo del provvedimento, “nessun bambino lasciato indietro”). In sintesi, essa impone a tutti gli Stati dell’Unione, cui spetta la competenza diretta in materia educativa, di adottare in ogni scuola pubblica sottomessa alla loro giurisdizione un programma di accountability (termine inglese senza esatto equivalente in italiano, ma traducibile con “rendicontazione” o “responsabilità rispetto agli esiti”).

A questo scopo, i livelli di apprendimento in matematica e in inglese devono essere verificati sistematicamente attraverso prove standard per tutti gli alunni di ogni Stato, al termine di ciascun anno scolastico dalla III all’VIII classe, e almeno un’altra volta negli anni successivi. Dalla fine del 2008, inoltre, anche le competenze scientifiche devono essere oggetto di valutazione per almeno tre volte, in una delle classi dalla III alla V, dalla VI alla IX e dalla X all’XI. I distretti scolastici e le singole scuole sono tenute a comunicare i risultati delle valutazioni ai genitori e alla comunità locale dimostrando così pubblicamente che i loro alunni, considerati sia globalmente sia secondo i maggiori gruppi etnici, stanno compiendo “un adeguato progresso annuale”.

Le scuole che per almeno due anni consecutivi falliscono tale obiettivo sono identificate come “bisognose di migliorare” e devono esser messe nelle condizioni di farlo attraverso aiuti e servizi addizionali, quali finanziamenti per la formazione degli insegnanti o tutoring supplementari per gli studenti. Fin da subito, tuttavia, i genitori degli alunni nelle scuole in difficoltà acquisiscono il diritto di trasferirli presso altri istituti pubblici dello stesso distretto. Se nel giro di altri tre anni non registrano alcun miglioramento, le scuole deficitarie devono essere completamente riorganizzate dall’autorità scolastica distrettuale e il personale interamente rinnovato.

Una Nazione a rischio

Nonostante sia oggetto di un aspro dibattito politico, e vista con favore soprattutto negli ambienti repubblicani, No Child Left Behind è stata approvata a larghissima maggioranza da tutti parlamentari, compresi i democratici. InPolitics, Ideology and Education, la studiosa di politiche sociali Elizabeth DeBray, ha inoltre messo in luce come sia stata preparata dai democratici (dall’amministrazione Clinton in particolare) anche prima dell’arrivo di Bush.

Come spiegare tale largo supporto? Qualcuno vede nel carattere bipartisan della riforma la tendenza in atto negli ultimi decenni a smantellare le politiche socialdemocratiche in favore di quelle neoliberiste. In questo slittamento ideologico, le istituzioni della società sono riformulate come mercati piuttosto che come sistemi democratici. E non fanno eccezione le scuole, considerate più efficienti se sottoposte alle leggi capitalistiche e poste, come tutte le aziende, in concorrenza le une con le altre per attirare i clienti: gli studenti. A questo scopo i fautori di un approccio aziendalistico all’istruzione propongono due ricette fra loro coordinate. La prima è l’istituzione di Charter Schools, scuole private riconosciute e sovvenzionate dallo Stato, che dovrebbero creare un vero mercato attirando imprenditori in educazione e instaurando un circolo virtuoso di sana competizione. La seconda riguarda un sistema statale di buoni scuola concessi ai genitori di ragazzi in età scolare, spendibili in una scuola privata a loro scelta, comprese quelle confessionali.

È certo che No Child Left Behind costituisce l’aspetto più recente di un fenomeno di ondate riformatrici iniziate al principio degli anni Ottanta e continuate poi nei Novanta. Si colloca infatti all’interno di un’ossessione di lunga durata della società americana riguardo alla qualità del suo sistema scolastico, la cui mancanza di competitività con altri Paesi economicamente emergenti è spesso enfatizzata dalla retorica politica e dall’opinione pubblica. Una paura rafforzata dai risultati di numerosi studi che, a partire dagli anni Ottanta, hanno riscontrato un calo generale della resa accademica degli studenti americani. Il 26 aprile 1983 l’amministrazione federale, sotto la guida dell’allora presidente Ronald Regan, pubblicava un’analisi sullo stato della scuola negli Stati Uniti il cui titolo è diventato famoso: A Nation at Risk, una nazione a rischio. Vi si affermava che il sistema educativo statunitense era “mediocre” e che la performance degli studenti era inaccettabilmente bassa, uno vero e proprio choc per tutto il Paese. Negli anni Novanta partì quindi un progetto volto a stabilire gli obiettivi generali del sistema educativo e a sensibilizzare la società sui cambiamenti da operare. L’amministrazione Clinton, ad esempio, ha sempre posto al centro dei propri programmi elettorali la necessità di sviluppare il capitale umano americano attraverso la valorizzazione e il miglioramento della scuola.

L’industria dei test

Molte sono le critiche che No Child Left Behind si è guadagnata. Da un punto di vista pratico va detto che non esiste a tutt’oggi negli USA, a livello nazionale, un organo che si occupi di definire standard e contenuti dei programmi scolastici. La loro compilazione è infatti affidata ai singoli Stati, e gli obiettivi d’insegnamento variano dunque da uno Stato all’altro del Paese.

Secondariamente, sebbene si richieda alle scuole di dimostrare che i loro alunni stanno avanzando verso il conseguimento di un sufficiente livello di padronanza nelle materie oggetto di valutazione, l’entità dei progressi non è definita, così come non lo sono i traguardi finali: la legge usa a questo proposito un’espressione lasciata di fatto alla libera interpretazione, parlando soltanto di “miglioramenti annuali adeguati” (adequate yearly progress).

Il libro di Thomas Toch, direttore di un centro di ricerca di Washington sulle politiche educative, Margins of Error: The Testing Industry in the No Child Left Behind Era, analizza proprio questi aspetti. La tesi avanzata è che uno degli effetti più visibili della logica test-centrica della riforma sia lo sviluppo di un vero e proprio mercato dei test scolastici. A seguito dei cambiamenti imposti dalla legge, gli Stati e le scuole perdono il margine di libertà di cui hanno sempre fruito e diventano responsabili delle eventuali insufficienze del loro studenti. I test diventano così la chiave di volta di una strategia di riforma della scuola, a sua volta impostata in funzione di questi standard. La preparazione dei test e il trattamento dei dati sono in gran parte appaltati a ditte private o a enti specializzati no profit, che in entrambi i casi non appartengono comunque all’amministrazione statale. La pressione della competizione tra le ditte che fabbricano e vendono test, le scadenze ravvicinate imposte dai regolamenti, la penuria di esperti nella costruzione dei quesiti e la scarsa sorveglianza da parte degli Stati, sostiene Toch, hanno indebolito gli obiettivi della riforma.

I sostenitori di NCLB ricordano che il numero degli scolari che supera i test è in aumento. I suoi detrattori, in risposta, controbattono che questo accade perché le scuole, pur di sopravvivere hanno semplificato le prove, dato che quelle insufficienti rischiano il taglio dei fondi e quindi la chiusura. Il risultato finale è tragico: gli studenti più poveri, soprattutto latinos e afroamericani sono i meno alfabetizzati del Paese. E le poche scuole che garantiscono buone performance sono intasate dalle richieste. Lo racconta bene Waiting for Superman, un documentario, mai uscito in Italia, nominato agli Oscar e premiato al Sundance Festival: i ragazzi valutati attraverso i test finiscono in canali prestabiliti. Se gli standard personali, o quelli della scuola di provenienza, non sono sufficientemente alti, è loro precluso l’ingresso a una buona scuola superiore e di conseguenza a una buona università.

Ma sono emersi anche altri aspetti critici della riforma. Poiché, come abbiamo visto, al conseguimento di buoni o cattivi risultati sono connessi premi e sanzioni, in forma diretta o indiretta, esiste una forte pressione sulle scuole, spesso quindi tentate di barare al gioco o comunque di mettere in scacco il sistema di valutazione con espedienti di varia natura. La riforma pone infatti ogni scuola di fronte a una scelta di fondo: o impegnarsi correttamente per migliorare l’efficacia del proprio insegnamento; oppure cercare di attrarre gli alunni migliori sia selezionandoli all’ingresso sia accettandoli in corso d’anno (cream-skimming). Un’altra possibile scorrettezza sta nel diminuire l’incidenza degli alunni deboli sui risultati complessivi, per esempio assegnandoli a programmi di educazione speciale, il che li esonera dalla partecipazione alle valutazioni. Si arriva persino a consigliare loro di rimanere assenti il giorno delle prove.

Quando l’accountability adotta un modello che tiene conto non tanto dei livelli assoluti ma dei progressi realizzati tra una rilevazione all’altra, le scuole possono inoltre reagire assegnando gli insegnanti migliori alle classi che saranno oggetto di valutazione. Lo sostiene persino Diane Ravitch, la storica della scuola già consigliera di Bush, inThe Death and Life of the Great American School System: “Il sistema dei test ha fallito, provocando disparità di preparazione. Ineguaglianze sociali ed economiche fanno il resto. Il risultato è un paradosso: l’aumento parallelo del numero di laureati e degli abbandoni scolastici”.

Un’altra potenziale reazione agli incentivi creati dai sistemi di accountabilty riguarda poi la tendenza a inserire gli studenti normodotati ma con basso rendimento in classi di sostegno (special education), in teoria riservate ai disabili e agli studenti con bisogni speciali (special needs) entrambi esonerati dal dover superare i test di rendimento. Oltre ai costi altissimi di queste classi alternative, è utile ricordare che molti Stati hanno leggi che ne regolano il rapporto numerico fra insegnati e alunni, con la conseguenza quindi che non sempre il reale bisogno degli alunni risulta decisivo.

Vi è infine una considerazione d’ordine generale legata all’idea stessa d’insegnamento proposta dalla riforma. I sistemi di accountability concentrano l’attenzione degli insegnanti sulle aree curricolari oggetto di rilevazione e all’interno di queste su determinati contenuti, inducendoli così a ridurre lo spazio dedicato ad altre materie, con una conseguente restrizione del curriculum effettivamente insegnato. Si arriva addirittura a usare i test come unico strumento didattico (teaching to the test). Il superamento di quesiti a scelta multipla (bubble test) tende così a scoraggiare l’esercizio del pensiero critico, premiando invece una forma peculiare di intelligenza di tipo contabile, basata cioè esclusivamente sul rispetto delle regole procedurali e la memorizzazione di formule.

 

Per approfondire:

E.H. DeBray, Politics, Ideology and Education. Federal Policy During the Clinton and Bush Administrations, Teachers College Press, New York, 2006.

T. Toch, Margins of Error: The Education Testing Industry in the No Child Left Behind Era, Washington, DC: Education Sector, 2006.

D. Ravitch, The Death and Life of the Great American School System: How Testing and Choice Are Undermining Education, Basic Books, New York, 2010.