LA CATENA INVISIBILE DEL MALE, Pe­da­go­gia Ne­ra. Fon­ti sto­ri­che del­l’e­du­ca­zio­ne ci­vi­le (a cu­ra di Pao­lo Per­ti­ca­ri) di Ka­tha­ri­na Ru­tsch­ky

UNA CITTÀ n. 230 / 2016 aprile

Intervista a Paolo Perticari
realizzata da Barbara Bertoncin

“Rimasto ignorato dal pubblico italiano e mondiale per quasi quarant’anni il libro della Rutschky documenta una storia scientifica e umana che si sussegue dal XVIII secolo fino ai giorni nostri sotto lo sguardo silente, attento e misterioso dei bambini nelle case civili dell’Europa e del mondo. Che cosa si nasconde dietro tutto ciò? Probabilmente il più importante libro, il più rilevante movimento del pensiero sui bambini, sulla violenza, sull’educazione, sul potere e sul male del XX secolo.” (Dalla Introduzione di Paolo Perticari)

LA CATENA INVISIBILE DEL MALE
La pedagogia nera, quella che al suo fondo ha la forza e il suo uso, ma che spesso si ammanta di buoni sentimenti e progressisti; il principio di obbedienza che informa il rapporto genitori-figli, insegnanti-alunni, ma che può informare un’intera comunità; la diffidenza di Freud verso l’idea dell’innocenza dei bambini; l’esempio della Germania nazista e l’idea fuorviante della banalità del male o della persona comune che può scegliere il male. Intervista a Paolo Perticari.

Pao­lo Per­ti­ca­ri in­se­gna Pe­da­go­gia ge­ne­ra­le e Fi­lo­so­fia del­la for­ma­zio­ne al­l’U­ni­ver­si­tà de­gli Stu­di di Ber­ga­mo. Il li­bro di cui si par­la nel­l’in­ter­vi­sta è Pe­da­go­gia Ne­ra. Fon­ti sto­ri­che del­l’e­du­ca­zio­ne ci­vi­le (a cu­ra di Pao­lo Per­ti­ca­ri) , Ka­tha­ri­na Ru­tsch­ky, Mi­me­sis, 2015. La pri­ma do­man­da è: che co­sa si­gni­fi­ca “pe­da­go­gia ne­ra”? La pe­da­go­gia ne­ra è una real­tà piut­to­sto sub­do­la, vi­schio­sa, di cui non si col­go­no be­ne i con­tor­ni. Di si­cu­ro non si sta par­lan­do di pe­da­go­gia co­me di so­li­to la si in­ten­de, cioè co­me for­ma di in­ter­ven­to po­si­ti­vo, co­strut­ti­vo. Si sta par­lan­do di vi­ta, io cre­do, e nel­lo spe­ci­fi­co di ciò che di­strug­ge la vi­ta, cioè di pro­ces­si di­strut­ti­vi e a vol­te an­che au­to­di­strut­ti­vi. Si par­la di in­con­scio e di ri­mos­so, di ne­vro­si e di psi­co­si, di neu­ro­ni e di coa­zio­ni a ri­pe­te­re, at­ti mal­va­gi. Par­lia­mo di vio­len­za, di un ma­le in­de­ci­fra­bi­le, di cui si ha pe­rò la pos­si­bi­li­tà di ve­de­re gli ef­fet­ti. Pur­trop­po quan­do si ca­pi­sce che co­s’è, è già mol­to tar­di: c’è in­fat­ti il ri­schio che que­sto ma­le si sia in­stal­la­to in un or­ga­ni­smo sa­no mol­to in pro­fon­di­tà, che può es­se­re in una per­so­na, ma può an­che es­se­re una real­tà so­cia­le, co­me la fa­mi­glia o una col­let­ti­vi­tà. Le con­se­guen­ze di que­sto ma­le in­de­ci­fra­bi­le so­no gra­vi sem­pre per la vi­ta uma­na e qual­che vol­ta di­ven­ta­no in­cu­ra­bi­li. Quan­do par­lia­mo di pe­da­go­gia ne­ra par­lia­mo di bam­bi­ni, e del­la vio­len­za lo­ro in­fer­ta, che può con­di­zio­na­re pe­san­te­men­te la lo­ro vi­ta. Non è det­to che un bam­bi­no che su­bi­sce la pe­da­go­gia ne­ra di­ven­ti una per­so­na con di­sa­gio men­ta­le, di­stur­ba­ta; pro­prio in vir­tù di que­sta espe­rien­za, po­treb­be es­ser­si fat­to la pel­le più du­ra e quin­di di­ven­ta­re una per­so­na che ot­tie­ne dei suc­ces­si. E tut­ta­via, una vol­ta che a un bam­bi­no è sta­ta spez­za­ta l’a­ni­ma, la per­so­na­li­tà, il suo sé nel pro­fon­do, que­sto ten­de a la­scia­re una trac­cia che pri­ma o poi si ma­ni­fe­sta, ma­ga­ri an­che mol­ti an­ni do­po. Dun­que la pe­da­go­gia ne­ra è que­sta real­tà di vio­len­za e di abu­so sui bam­bi­ni che av­vie­ne per­lo­più nei con­te­sti fa­mi­lia­ri, in­ter-pa­ren­ta­li, quan­do le por­te di ca­sa si chiu­do­no. Può suc­ce­de­re che que­sta pe­da­go­gia ven­ga eser­ci­ta­ta an­che fuo­ri, nel­la scuo­la, nel­l’ex­tra-scuo­la, ma in real­tà la zo­na del­l’a­bu­so in­fan­ti­le ri­guar­da la re­te pa­ren­ta­le. Non stia­mo par­lan­do so­lo di vio­len­za fi­si­ca…
No, non stia­mo par­lan­do so­lo di vio­len­za fi­si­ca. Que­st’ul­ti­ma pe­rò non va sot­to­va­lu­ta­ta, per­ché si ten­de a pen­sa­re sia tra­mon­ta­ta, in­ve­ce non è co­sì. Una ba­na­le scu­lac­cia­ta in fin dei con­ti può es­se­re il pri­mo pas­so ver­so il ma­le. Il li­bro di Ka­tha­ri­na Ru­tsch­ky è una sum­ma di ci­ta­zio­ni, an­che nel sen­so be­nia­mi­nia­no del ter­mi­ne. Ru­tsch­ky pro­po­ne bra­ni trat­ti da ma­nua­li, te­sti di teo­ria pe­da­go­gi­ca, bre­via­ri, li­bri di espe­rien­za, stru­men­ti edu­ca­zio­na­li, scrit­ti nel­l’ar­co di un pe­rio­do che va dal Di­ciot­te­si­mo se­co­lo fi­no ai pri­mi an­ni del Ven­te­si­mo se­co­lo. Da tut­ti que­sti te­sti di edu­ca­zio­ne emer­ge una for­ma di ma­le su cui non si è an­co­ra ade­gua­ta­men­te ri­flet­tu­to den­tro la co­sid­det­ta Eu­ro­pa bor­ghe­se e ci­vi­le. Ci so­no an­che te­sti pro­gres­si­sti, ma po­ter­li leg­ge­re tut­ti in­sie­me in que­sta chia­ve ci con­sen­te di in­tra­ve­de­re una for­ma di or­ro­re ve­ro e pro­prio. La pe­da­go­gia ne­ra è una for­ma men­ta­le, este­ti­ca, ci­vi­le, po­li­ti­ca, teo­lo­gi­ca. È un te­ma de­sti­na­to a non pas­sa­re fa­cil­men­te. Es­so im­pli­ca la tra­sfor­ma­zio­ne con­ti­nua del rap­por­to ge­ni­to­ri-fi­gli, ma an­che in­se­gnan­ti-stu­den­ti, mol­to lon­ta­na, di­stan­te dal­lo ste­reo­ti­po del­l’in­fan­zia co­me il pe­rio­do più fe­li­ce, gio­io­so e spen­sie­ra­to. Fin da su­bi­to, an­che le re­la­zio­ni af­fet­ti­va­men­te me­glio strut­tu­ra­te si am­ma­la­no di que­sta ci­fra del po­te­re so­vra­no, del co­man­do su­pre­mo, del­l’ob­be­dien­za as­so­lu­ta. Un’ob­be­dien­za da ot­te­ne­re ap­pun­to at­tra­ver­so la for­za, che un cor­po più mas­sic­cio, più gran­de im­po­ne su un al­tro cor­po de­ci­sa­men­te più in­di­fe­so, più pic­co­lo, con la vio­len­za sia fi­si­ca sia psi­co­lo­gi­ca. Ec­co, la pe­da­go­gia ne­ra di Ka­tha­ri­na Ru­tsch­ky dà una… [ con­ti­nua ]

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