Il progetto “La casa dei piccoli” di Ravenna, un centro di accoglienza per genitori

Un articolo da “Una Città” sulla esperienza della “Casa dei piccoli” di Ravenna: intervista alla fondatrice Nedda Papi

La Casa dei Piccoli (vedi il sito) è nata in via sperimentale nel marzo 2012 con lo scopo di proporre un’attività che abbia valenza preventiva del disagio psichico in bambini e genitori.
L’ingresso si è configurato fin dal principio come libero e a titolo gratuito, senza un appuntamento fissato in anticipo, prevedendo la possibilità che potessero essere presenti contemporaneamente diverse mamme e bambini.

UNA CITTÀ n. 232 / 2016 luglio-agosto

Intervista a Nedda Papi
realizzata da Paola Sabbatani

INTORNO AI DUE ANNI
Una scuola per formare psicoterapeuti psicoanalitici, che per individuare i problemi che possono insorgere fra mamme e bimbi in tenerissima età, osservino innanzitutto il modo di relazionarsi fra madre e figlio; il rischio che si pensi troppo alle “regole” da insegnare, che si dia troppa importanza alla “socializzazione” del nido, o che nei primissimi anni prevalga l’istinto… In seguito la troppa attenzione dei genitori alle performance e ai comportamenti. Intervista a Nedda Papi.

Ned­da Pa­pi, psi­co­te­ra­peu­ta psi­coa­na­li­ti­ca, re­spon­sa­bi­le del Pro­get­to “La Ca­sa dei Pic­co­li” di Ra­ven­na. Com’è na­ta la “Ca­sa dei pic­co­li”? Mi so­no lau­rea­ta in pe­da­go­gia, con una te­si in psi­co­lo­gia. E il mio pri­mo la­vo­ro è sta­to pro­prio quel­lo che al­lo­ra si chia­ma­va “mo­ni­to­ri”, una sor­ta di gui­da for­ma­ti­va al­le in­se­gnan­ti dei pri­mi asi­li ni­do. Pur­trop­po era un qual­co­sa di mol­to po­li­ti­co, per cui si par­la­va di so­cia­liz­za­zio­ne dei bam­bi­ni pic­co­li e co­se co­sì. Io e al­tre mie col­le­ghe ab­bia­mo cer­ca­to, era­no gli an­ni Set­tan­ta, di chie­de­re aiu­to agli psi­co­lo­gi, ma al­lo­ra non c’e­ra mol­ta cul­tu­ra ri­guar­do i bam­bi­ni mol­to pic­co­li, la re­la­zio­ne mam­ma-bam­bi­no nei pri­mi tre an­ni di vi­ta non era mol­to co­no­sciu­ta e stu­dia­ta. Poi ho la­vo­ra­to in co­lo­nia, fa­cen­do la coor­di­na­tri­ce, in se­gui­to ho vin­to un con­cor­so co­me psi­co­lo­ga sem­pre gra­zie al­la mia te­si. A quel pun­to mi so­no iscrit­ta a Pa­do­va in psi­co­lo­gia e lì ho con­se­gui­to la se­con­da lau­rea. Do­po­di­ché, pe­rò, la­vo­ran­do nel­la me­di­ci­na sco­la­sti­ca, mi ac­cor­ge­vo che le bi­del­le era­no più ca­pa­ci di me nel so­ste­ne­re e con­si­glia­re le mae­stre, per cui ho cer­ca­to di­spe­ra­ta­men­te un po­sto do­ve for­mar­mi. For­tu­na­ta­men­te a Ra­ven­na c’e­ra l’i­dea che quel­li che ve­ni­va­no da fuo­ri era­no più in­tel­li­gen­ti e ave­va­no pre­so del­le col­le­ghe di Bo­lo­gna che co­no­sce­va­no un po­sto a Mi­la­no che si chia­ma­va, e si chia­ma, Cen­tro Stu­di di Via Ario­sto, do­ve una cop­pia di psi­coa­na­li­sti mol­to bra­vi e fa­mo­si, Jo­se­ph Sand­ler e sua mo­glie An­ne Ma­rie (lui è sta­to an­che pre­si­den­te del­la So­cie­tà in­ter­na­zio­na­le di psi­coa­na­li­si, han­no scrit­to mol­ti li­bri e han­no con­tat­ti con l’An­na Freud Cen­tre) in­se­gna­va­no a ca­pi­re co­sa suc­ce­de nel­la re­la­zio­ne fra il bam­bi­no e gli adul­ti nei pri­mi an­ni di vi­ta. Co­sì ho fre­quen­ta­to lì la scuo­la di psi­co­te­ra­pia e poi, per tren­t’an­ni, ho con­ti­nua­to ad ap­pren­de­re, par­te­ci­pan­do a cor­si di man­te­ni­men­to, se­mi­na­ri, in­con­tri, con un grup­po di col­le­ghi da tut­ta Ita­lia. A un cer­to pun­to, do­po tan­ti an­ni che ci ve­de­va­mo, ab­bia­mo de­ci­so che era­va­mo ab­ba­stan­za gran­di per po­ter fa­re una scuo­la an­che noi e quin­di in do­di­ci ab­bia­mo for­ma­to un’as­so­cia­zio­ne che si chia­ma As­so­cia­zio­ne per lo svi­lup­po del­la psi­co­te­ra­pia psi­co­na­li­ti­ca, e tra que­sti do­di­ci c’e­ra an­che mio ma­ri­to, che la­vo­ra­va già al Cen­tro Stu­di di Via Ario­sto. Con lui ci sia­mo tra­sfe­ri­ti a Ra­ven­na. La scuo­la per chi è pen­sa­ta? Pro­po­ne una for­ma­zio­ne qua­drien­na­le per me­di­ci e psi­co­lo­gi che vo­glio­no ave­re il ti­to­lo di psi­co­te­ra­peu­ta. Quan­do mi so­no lau­rea­ta io non c’e­ra nes­su­na re­go­la­men­ta­zio­ne per es­se­re psi­co­te­ra­peu­ta, ti for­ma­vi sul cam­po; tut­ti quel­li che era­no sta­ti as­sun­ti da­gli en­ti pub­bli­ci lo­ca­li e ave­va­no la­vo­ra­to per più di die­ci an­ni o giù di lì ve­ni­va­no di­chia­ra­ti psi­co­te­ra­peu­ti. Suc­ces­si­va­men­te il mi­ni­ste­ro ha re­go­la­men­ta­to la for­ma­zio­ne di psi­co­te­ra­peu­ta che può ave­re va­ri in­di­riz­zi, psi­coa­na­li­ti­co, si­ste­mi­co, psi­co­co­gni­ti­vo, e da qui l’e­si­gen­za di una scuo­la. Nel pro­gram­ma di­dat­ti­co ab­bia­mo in­se­ri­to l’at­ti­vi­tà di “os­ser­va­zio­ne in­fan­ti­le”, fon­da­men­ta­le nel­le for­ma­zio­ni psi­coa­na­li­ti­che, che con­si­ste nel­l’os­ser­va­zio­ne del­le mam­me coi lo­ro bam­bi­ni. Dal pun­to di vi­sta pra­ti­co ogni al­lie­vo si met­te d’ac­cor­do con la mam­ma di un bam­bi­no mol­to pic­co­lo, se pos­si­bi­le di po­che set­ti­ma­ne, per an­da­re una vol­ta al­la set­ti­ma­na a ca­sa sua per un’o­ra a os­ser­va­re co­sa suc­ce­de fra lo­ro, co­me si svi­lup­pa il bam­bi­no, co­me evol­ve la lo­ro re­la­zio­ne. Io a Mi­la­no ave­vo fat­to a mia vol­ta que­sta tra­fi­la, un’e­spe­rien­za bel­lis­si­ma per me. Aven­do co­min­cia­to a la­vo­ra­re pro­fes­sio­nal­men­te mol­to pre­sto, a 23 an­ni, e do­ven­do for­ma­re, da­re ri­spo­ste, com­pren­sio­ne, ec­ce­te­ra, ero sot­to­po­sta a mol­te pres­sio­ni, in­ter­ne ed ester­ne; men­tre quan­do an­da­vo a ca­sa del­la mam­ma non do­ve­vo di­re nien­te, nes­su­no mi chie­de­va nien­te, do­ve­vo so­lo sta­re lì, os­ser­va­re e cer­ca­re di com­pren­de­re. Per me era sta­ta un’e­spe­rien­za co­sì uti­le che mol­to vo­len­tie­ri ho da­to am­pio spa­zio del­l’at­ti­vi­tà di­dat­ti­ca… [ con­ti­nua ]

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