UNA LETTERA DI GIUSEPPE FERRARO DEL 27 GENNAIO: sui ragazzi di Nisida e no

Oggi è andata così, una giornata velata del dispiacere di perdere la voce di Gerardo Marotta, non la sua presenza in questa Città. Ieri a Nisida c’erano i ragazzi di scuole e comunità per il concorso promosso dalla cooperativa La Rete. Sono mancati solo i ragazzi che sono “ospiti” del carcere minorile. Un’occasione perduta, perché i ragazzi hanno bisogno di ritrovarsi nei loro destini di relazioni e sentimenti differenti. Nella sala della premiazione loro non c’erano.

Il giorno prima al cinema Astra a presentare il film dedicato alla memoria della Shoah. Erano in tanti seduti in platea e in galleria. Il film è francese, Les héritiers, gli eredi, noi eredi di una memoria, di una testimonianza ora che non ci sono più i testimoni oculari, quelli che hanno vissuto la follia dei campi di concentramento in Europa e proprio ora quando l’Europa pare smarrire il sogno della costituzione di una Comunità e di un’Unione che viene da quella memoria. La traduzione italiana del film è “Almeno una volta nella vita”. Non si capisce chi fa il traduttore dei titoli dei film, questo fa pensare tutt’altro che alla splendida esperienza di ragazzi di una scuola alla periferia di Parigi che diventano una comunità di ricerca educativa.
E alla periferia della mia città sono andato lo stesso giorno. In tanti, ragazzi della primaria. La scuola “Radice”, dove ci sono docenti e una preside stupefacenti per la passione, la professionalità, l’attenzione. Sono 35 ragazzi. Alle 13:30, ora fine scuola, ora panino sui banchi, ora d’inizio dell’incontro di filosofia. Non è facile, ma sono là, attentissimi, in cerchio. Che cosa è allora la filosofia? Qualcuno dice che la filosofia è interpretazione, come a teatro, quando si legge il testo di un autore, quando si recita, la filosofia è capire che l’uguale e il diverso sono la stessa cosa, arriva a dire uno di loro. E chi o cosa è uguale e diverso insieme. Bisogna pure interpretarsi. Così è anche pensare, quando ogni volta ci apprestiamo a dire qualcosa. E viene subito quel rapporto tra essere-dire-pensare che s’inseguono disegnando il cerchio del vero. E poi eccoci a pensare la vita e poi alla forza di vivere, alla sopravvivenza di chi riesce a venire dalla terra in cui si è trovato sepolto dalla valanga del terremoto, la passione, la nascita, i legami. La filosofia è il sapere che saggia i legami più importanti. Ogni sapere in fondo viene dall’esigenza della nostra condizione. Per apprendere un “sapere”, quale che sia, bisogna chiedersi dell’esigenza che viene dalla nostra condizione ad apprendere quel tipo e quella forma di sapere. L’esigenza che porta a sapere la filosofia è la scuola dei legami, l’educazione dell’anima.
Ognuno è uguale e diverso, ripete il giovane studente dell’Istituto Leonardo da Vinci dove sono poi stato quest’oggi. Ragazzi che vengono da quelle periferie che si leggono sulle cronache dei giornali, da Casalnuovo, da Torre, dal mio Rione, da Poggioreale, da Casoria, dal Vasto. Qualcuno si alza alle 6 del mattino per arrivarci con il treno. Lo vedi sui loro visi. Mi è venuto immediato di ricordare con loro i ragazzi di Nisida, perché quando sono stato alla premiazione della cooperativa della Rete e ho chiesto quali fossero i ragazzi, avevo giusto pensato a quelli del carcere. Mi sono avvicinato perciò a loro e ho cominciato a parlare con familiarità, chiedendo di come stavano, e a mano a mano che li salutavo uno per uno venivo preso dall’imbarazzo dell’errore. Non erano i ragazzi del carcere. Loro sono diversi, hanno altri gesti, sono scontrosi o irreverenti per difesa, si scherniscono, hanno gli occhi bassi e danno il fianco come chi è pronto per girarsi dall’altra parte. Quelli che avevo davanti erano i ragazzi che vanno scuola. Hanno gesti diversi, vestono diversamente, sono aperti, li ho davanti adesso, sono in una scuola d’eccezione, dove non sarà possibile forse il normale percorso curriculare ma dove certo si apprendono cose eccezionali, come sono loro, quando gli si dà ascolto e parola.
Abbiamo fatto un percorso oggi intensissimo, siamo arrivati all’ora di chiusura che ancora eravamo là a mettere in ordine quei fogli sulla lavagna del pavimento. C’erano le docenti, attentissime, vicine, concentrate, abbiamo parlato della solitudine, del buio, del ritorno, dell’essere se stesso, della memoria, dell’imparare. È tutto diverso quando la città viene a scuola e quando scuola è la città. Il sapere è un possesso senza proprietà, come l’amore. Il proprio senza proprietà dice di quel che sentiamo interiormente, di passione, di come l’altro sia proprio, nei propri pensieri, nella propria anima, di come la propria anima sia l’altro che la porta, se la prende, la perde e un altro ancora, un’altra, la restituisce a noi che siamo soli, sempre per un motivo, sempre per qualcuno. La filosofia è il sapere saggiante i legami più importanti, quelli che ci fanno vivere la solitudine come un sentimento del pensare e non come isolamento e reclusione.
Sono rientrato velato del dispiacere della perdita della voce di Marotta, non della sua presenza, ci mancherà, la presenza è così, si avverte nella mancanza. Sarebbe stato felice tra quei ragazzi. La città si deve fare scuola. Chi sa, chi ha studiato, deve riportare il sapere, restituendolo a chi non lo ha avuto o lo ha perduto, a chi incontra nelle strade, nelle piazze e nelle case, ovunque la città deve farsi scuola, la sicurezza è conoscere, imparare, ritrovarsi, pensare, stare insieme.

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