GLI ASINI, indice della rivista n. 18. Valutazione e meritocrazia. una introduzione

L’INDICE DELLA RIVISTA: http://www.asinoedizioni.it/products-page/rivista/gli-asini-n-18-ottobre-novembre-2013/

 

 

Lo speciale – Valutazione e meritocrazia

 

cover_asini_18Il merito è importante, ci mancherebbe. Anche noi asini ne conveniamo. La Costituzione lo sancisce con uno dei suoi passaggi più belli e con la formula più socialista e meno statalista che potesse trovare: rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale affinché ognuno, traduciamo e sintetizziamo, abbia quanto gli è necessario e dia quanto può e vuole.

Valutare – attività umana essenziale a ogni vero processo formativo, democratico, scientifico, culturale – significa in ultima istanza giudicare, criticare, prendere posizione. E in certi casi anche sancire un merito. Ma se abbiamo deciso di analizzare e sottoporre a critica con un numero speciale della rivista queste due categorie ormai penetrate in ogni ambito del discorso educativo è perché la ricaduta e gli effetti che esse hanno sul nostro sistema di istruzione e sulla pratica di insegnanti ed educatori svelano un avvenuto pervertimento del loro significato originale.

Valutazione e meritocrazia sono un esempio di quei concetti di plastica propri di una cultura allo sbando, che garantiscono il consenso perché “dicono” una cosa ma ne “fanno” un’altra. Promettono la cancellazione dei privilegi nel nome della neutralità della tecnica, ma li consolidano selezionando sulla base di criteri che poco hanno a che vedere con la libera crescita degli individui e molto con la necessità di incasellarli in ruoli predefiniti.

Pur essendo inevitabile allargare il ragionamento a tutte le mille forme in cui l’ideologia della valutazione condiziona quasi ogni ambito del lavoro sociale e culturale, non potevamo che prendere le mosse da quanto sta avvenendo a scuola. La diffusione ormai capillare in ogni ordine e grado, dalle elementari all’università, delle prove Invalsi e di analoghi sistemi di valutazione sta riducendo la didattica di maestri e insegnanti (che già non se la passava troppo bene) a un addestramento meccanico per il supermento di test standardizzati. Da una parte e dall’altra della cattedra: non è escluso che presto, con metodi simili – come in parte già è avvenuto negli Stati Uniti e come abbiamo raccontato nel primo numero della rivista – gli alunni dovranno “meritarsi” la promozione, gli insegnanti lo stipendio e i dirigenti scolastici i finanziamenti necessari al funzionamento della propria scuola. Decida il lettore se si tratti di un piano intenzionale finalizzato a produrre ignoranza e a mantenere le divisioni, in termini di opportunità, che dividono i ricchi dai poveri, o piuttosto degli effetti collaterali di una macchina tecnocratica che, una volta messa in moto, ci è sfuggita di mano. Quello che è certo è che se da anni un movimento d’opinione, di cui anche noi ci sentiamo parte, analizza, critica e svela i lati grotteschi dei test prodotti dalle agenzie nazionali e internazionali di valutazione, non altrettanto efficacemente ha saputo inventare forme di opposizione e disobbedienza che ne arginasse l’infiltrazione in ogni ambito della vita quotidiana. Se non in situazioni isolate che sarà necessario continuare a scovare e connettere come abbiamo iniziato a fare con questo numero della rivista.

Proprio nei giorni in cui stavamo chiudendo questo numero speciale degli Asini moriva Marshall Berman, lucidissimo e appassionato critico sociale, il cui sguardo eclettico, anarchico e ironico lo distingueva dalla schiera lagnosa e rassegnata di tanti suoi “colleghi” critici della modernità. Il suo modernismo era molto semplicemente un’adesione totale e incondizionata al piacere della sfida, della critica, della pulsione creativa. Alla vita, insomma, ovunque essa si annidasse. Modernità e sue aberrazioni comprese. “Essere moderni”, scrisse lui a introduzione del suo capolavoro,L’esperienza della modernità, noi a viatico di questo numero degli Asini, “vuol dire vivere una vita imperniata sul paradosso e sulla contraddizione. Vuol dire essere continuamente sopraffatti da immense organizzazioni burocratiche che hanno il potere di controllare e, spesso, di distruggere ambienti, valori e vite. E tuttavia proseguire imperterriti nella propria determinazione di tener testa a queste forze, di combattere per cambiare il mondo e farlo proprio. Vuol dire essere rivoluzionari e conservatori a un tempo: consci delle nuove possibilità d’esperienza e d’avventura, terrorizzati dagli abissi nichilistici a cui conducono tante avventure moderne, desiderosi di creare qualcosa di reale proprio mentre tutto si dissolve nell’aria.” (Gli asini)

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