Io non so dare un voto, di Marta Gatti, da Gli Asini n. 18 – L’esperienza di una maestra elementare alle prese con la valutazione. allegate le schede di autovalutazione ed altro materiale didattico

Di mestiere faccio la maestra. Mi piace la parola “mestiere”, che è diversa da “lavoro”, perché penso che fare la maestra abbia a che fare con l’arte/l’artigianato e l’uso delle mani. Impari con l’esperienza a modellare una relazione educativa che permetta ai protagonisti dell’apprendimento di stare bene a scuola. Impari con l’esperienza l’arte di insegnare attraverso la pratica e l’uso costante del fare.

Il tema della valutazione mi ha sempre messa a disagio professionalmente e personalmente. Se penso alle richieste dei parametri ufficiali, sento di non saper valutare!

Io e la mia collega abbiamo da sempre condiviso un modo “alternativo” di valutare.

Cercherò di raccontare la nostra pratica suddividendola nei diversi aspetti e allegando alcuni documenti da noi prodotti per cercare di essere più chiare.

Per valutare il lavoro del bambino

Non so dare un voto, fatico a essere oggettiva. Quando mi trovo a correggere un lavoro dei bambini/e sento che una gran parte di me si rifiuta di rendere “definitivo” il risultato della prova.

Ho davanti a me non un foglio, ma il bambino/a che l’ha compilato.  Correggo, metto i puntini per far capire loro dove hanno sbagliato perché ci tengo che correggano insieme a me il lavoro, intervengo poco con la penna per non infierire sull’errore. Poi alla fine li riguardo tutti, i fogli. E adesso cosa scrivo come valutazione? Loro, i bambini/e, hanno imparato a dare valore a quello che penso.

Per dare una valutazione al lavoro del bambino/a, nei primi due anni della scuola primaria, utilizziamo da sempre quelli che adesso si chiamano Emoticons.: faccine sorridenti con o senza corona oppure un semplice “OK”. In questo modo vogliamo comunicare l’aspetto metacognitivo della valutazione: il sorriso trasmette la contentezza dell’essere riuscito/a ad imparare una cosa nuova.

Anche di fronte a un lavoro pieno di errori scriviamo OK perché il lavoro è stato fatto e fino in fondo. Solo di fronte ad un compito eseguito male, con poca cura e di fretta diamo un giudizio negativo (una faccina triste o arrabbiata) perché è su questo che vogliamo intervenire: l’attenzione e la cura di ciò che faccio deve sempre essere presente.

Dalla terza in poi oltre al sorriso inseriamo quella che chiamiamo “la frazione eseguita”: se, ad esempio, un compito ha 20 parti da eseguire, segnaliamo quante parti GIUSTE su 20 sono state eseguite. Quindi la valutazione potrà essere 15/20 se il bambino/a ha risposto correttamente a 15 parti. Anche in questo semplice modo, vogliamo far passare la valorizzazione per ciò che il bambino/a sa e non per quello che non sa.

Tabuliamo tutti i risultati in tabelle che poi incolliamo sui nostri registri. Ci rifiutiamo di compilare caselline anonime con voti numerici. I nostri tabulati ci dicono che errori ha fatto il bambino/a, li riportiamo uno a uno e li teniamo sotto controllo. Siamo convinte che la valutazione serva al bambino/a per controllare a che punto è con il suo apprendimento e a noi per modulare l’azione didattica. Nient’altro.

 

L’autovalutazione

Alla fine di ogni quadrimestre, ogni bambino/a compila un documento di autovalutazione. Nelle prime classi ci interessa capire qual è il suo rapporto con la scuola, la mensa, le maestre, i compagni/e. Nelle classi superiori aggiungiamo anche richieste di valutazione sul proprio apprendimento nelle diverse discipline.

Ci interessa questo momento della valutazione perché è importante per noi che di pari passo alle acquisizioni, il bambino/a impari anche a dare un valore al proprio apprendimento, alle difficoltà che incontra, ai successi conquistati. Chiediamo loro anche, alla fine dell’anno scolastico, quali sono i motivi per cui sentono di meritare la promozione alla classe successiva. Dalle risposte dei bambini/e capiamo quali sono state le attività da loro preferite, quali quelle che non sono piaciute, quali i conflitti non emersi tra di loro, scopriamo se ci sono dei disagi nella relazione con noi.

Mano a mano che gli anni passano, la loro valutazione diventa sempre più realistica e imparano ad “ascoltarsi” per riconoscersi e darsi il giusto valore. È questo, a mio parere, il compito educativo della scuola.

 

I voti decimali

L’introduzione dei voti numerici in decimi alla scuola primaria non ha scatenato ovunque reazioni di indignazione e rifiuto. In tantissime scuole, ricordo, non erano ancora usciti i regolamenti attuativi ma nei primi Collegi docenti di ottobre già si deliberava sulla scala numerica da adottare. Penso che questo sia dovuto a una pratica valutativa che, seppur utilizzasse giudizi e non numeri, aveva già incorporato geneticamente il concetto di misura della produzione e non quello della valutazione del percorso evolutivo del bambino/a.

Il passo quindi è stato breve e indolore. In effetti usare 5 aggettivi (insufficiente,sufficiente, buono….) o 5 numeri è la stessa cosa se i significati attribuiti sono uguali. Ecco perché noi, da sempre, ci siamo rifiutate di scrivere nella scheda di valutazione ministeriale una parola o un numero per raccontare un bambino/a.

Cosa facciamo quindi ?

Chi lavora nella scuola sa che la valutazione è in stretta relazione con le pratiche di insegnamento. Per fare una valutazione “diversa” abbiamo avuto la necessità di modificare la struttura della Programmazione annuale.

Ci eravamo un po’ stancate di una programmazione che elencava obiettivi in modo asettico e ripetitivo. Abbiamo pensato di elaborare un documento che “partisse da noi” e che non servisse solo per espletare un dovere di servizio. La nostra Programmazione quindi è composta da una tabella suddivisa in “strumenti utilizzati” (cioè le attività che prevediamo di fare in classe) e “abilità da conseguire” e cioè a che cosa serve al bambino/a quell’attività che facciamo in classe. Cerchiamo di essere il più dettagliate possibile perché il documento sia un reale strumento di lavoro durante l’anno.

Quando arriva il momento della valutazione quadrimestrale, trasformiamo la Programmazione in quello che abbiamo chiamato Documento di osservazione del percorso didattico educativo. È una relazione che stiliamo per ogni bambino/a della classe in cui raccontiamo per ogni “strumento utilizzato” quali sono state le “abilità conseguite” da lui/lei.

In forma narrativa perché vogliamo che emerga non “una fotografia” dei risultati ottenuti dall’alunno/a ma “un video” di quello che fa, di come è, di quello che noi pensiamo sia, di quello che dimostra di essere.

Sulla scheda ministeriale invece abbiamo scelto di mettere un voto unico, uguale per tutti/e : di solito un otto nel primo quadrimestre e un nove nel secondo, per sottolineare che tutti/e hanno fatto un passo avanti nella loro crescita scolastica. Negli organi collegiali presentiamo una dichiarazione in cui motiviamo la nostra scelta e che presentiamo anche all’assemblea con i genitori.

I genitori e la valutazione

I genitori richiedono un capitolo a parte. Come tutti sappiamo, noi della scuola primaria, costruiamo con i genitori un rapporto che dura 5 anni. Le mamme e i papà si approcciano alla scuola primaria con tanti desideri e aspettative. La loro bambina/o passa da una scuola accogliente e formativa, quella dell’infanzia, ad un grado scolastico in cui vengono fatte richieste anche di tipo disciplinare. Le aspettative sono tante, le preoccupazioni pure.

Non solo, ma la scuola primaria si affaccia alla scuola secondaria di primo grado e tante sono le differenze che contraddistinguono questi due segmenti scolastici.

Ecco perché i genitori partono con un pensiero divergente, aperto alle novità e anche alle idee creative perché riconoscono lo star bene a scuola dei loro figli/e e poi poco alla volta in terza, quarta e quinta, sentendo avvicinarsi la “scuola che seleziona”, convergono sempre di più su posizioni di chiusura e uniformità.

Ecco perché nelle nostre assemblee con loro, diamo tantissimo spazio a questo aspetto, alla spiegazione del pensiero pedagogico che supporta le nostre scelte didattiche. Dobbiamo costruire con loro un rapporto di fiducia.

Nell’assemblea che precede la valutazione, prepariamo una verifica sull’andamento generale della classe sia dal punto di vista delle relazioni che quello dell’apprendimento perché ognuno di loro possa inserire il percorso del “proprio” bambino/a all’interno di quello generale della classe.

Molti sono entusiasti del nostro documento e ci dicono: “Quello che ho letto è proprio Giulia! La riconosco in tutti i suoi aspetti. Un voto non avrebbe saputo raccontare tutte queste cose!” Altri invece ritengono che la mancanza del voto impedisca al bambino/a di assumersi le proprie responsabilità: “Tanto Marta e Carmen non mi danno il voto….”

Quest’ultimo aspetto è quello più difficile da affrontare. Quello che i genitori attribuiscono al pensiero-bambino in realtà è una loro proiezione. I bambini/e non hanno bisogno del voto per lavorare e per impegnarsi. Un bambino/a che non si fa coinvolgere nell’apprendimento, è un bambino/a a cui non manca il voto ma il supporto psicologico che gli permette di dare spazio ai suoi interessi e alla sua curiosità. L’intervento quindi è un altro, io credo. Noi continuiamo a pensare che ciò che facciamo possa liberare le persone, noi per prime, da una dannosa semplificazione della realtà umana.

Dobbiamo sottolineare però che risulta sempre più difficile utilizzare pratiche educative “altre” nel contesto normativo in cui si trova la scuola statale oggi, dove la valutazione Invalsi, il merito, la velocità di produzione, la riduzione dell’attenzione alla persona diventano ostacoli da superare che richiedono motivazione e convinzione forti e determinate. Quello che abbiamo raccontato è il nostro modo di resistere ad un pensiero dominante che vorrebbe affrontare l’apprendimento attraverso la sola sintesi finale.

Questo articolo è uscito sul numero 18 de “Gli asini”, ottobre/novembre 2013Abbonati ora per avere la versione cartacea.