LA RIVOLUZIONE COI GESSETTI, una intervista su Alberto Manzi. Da “Una città” n.216\2014

UNA CITTÀ n. 216 / 2014 ottobre

Intervista a Alessandra Falconi
realizzata da Thomas Casadei

LA RIVOLUZIONE COI GESSETTI
La storia straordinaria e per lo più sconosciuta di Alberto Manzi, non solo autore e conduttore della famosa trasmissione “Non è mai troppo tardi” che diede speranza agli analfabeti e semianalfabeti italiani, ma anche maestro di strada in Sudamerica, scrittore di racconti tradotti in tutto il mondo, sindaco… Educare a pensare, centro del suo impegno educativo; la lungimiranza sulla necessità di favorire l’integrazione degli immigrati. Intervista ad Alessandra Falconi.

Ales­san­dra Fal­co­ni fa par­te del Cen­tro Al­ber­to Man­zi. La fi­gu­ra di Man­zi è as­so­cia­ta in ma­nie­ra in­de­le­bi­le, nel­l’im­ma­gi­na­rio col­let­ti­vo, al­la tra­smis­sio­ne te­le­vi­si­va “Non è mai trop­po tar­di”, ep­pu­re ci so­no al­tri aspet­ti del­la sua vi­ta che me­ri­ta­no di es­se­re co­no­sciu­ti, a co­min­cia­re dal­la sua pri­ma espe­rien­za di mae­stro al ri­for­ma­to­rio Ga­bel­li e al­la sua in­tui­zio­ne le­ga­ta a “La tra­dot­ta”…
Apri una pa­gi­na qua­lun­que di Al­ber­to Man­zi e tro­ve­rai qual­co­sa di nuo­vo, ri­sco­pri­rai qual­co­sa che for­se ave­vi pre­fe­ri­to di­men­ti­ca­re, pro­ba­bil­men­te per­ché, con­di­vi­si­bi­le sul pia­no idea­le, trop­po im­pe­gna­ti­va da met­te­re in pra­ti­ca. Sì, Man­zi è no­to ai più per la tra­smis­sio­ne te­le­vi­si­va “Non è mai trop­po tar­di”. Ed è ve­ro, ha fat­to un mi­ra­co­lo. Ma non so­lo per il nu­me­ro al­tis­si­mo di per­so­ne che lo se­gui­ro­no, non per­ché un’in­te­ra ge­ne­ra­zio­ne co­min­ciò a so­gna­re di fa­re l’in­se­gnan­te an­co­ra pri­ma di an­da­re a scuo­la, non per­ché ha con­tri­bui­to a ri­dur­re la pia­ga del­l’a­nal­fa­be­ti­smo, ma per­ché ha ri­da­to di­gni­tà a per­so­ne che si era­no sem­pre con­si­de­ra­te in­fe­rio­ri. È l’an­zia­no che non ave­va mai po­tu­to leg­ge­re e se ne ver­go­gna­va; è il bam­bi­no di­sa­bi­le che so­gna­va di im­pa­ra­re a leg­ge­re e scri­ve­re no­no­stan­te non po­tes­se an­da­re a scuo­la; è l’in­ser­vien­te che si sen­ti­va in­fe­rio­re per­ché con­sa­pe­vo­le di es­se­re una per­so­na che igno­ra­va tan­te co­se ri­spet­to ai suoi pa­dro­ni, spes­so be­ne­stan­ti e istrui­ti. Man­zi sa­pe­va par­la­re a ognu­no di lo­ro. Lo ave­va im­pa­ra­to su­gli al­ti­pia­ni an­di­ni do­ve ave­va toc­ca­to con ma­no il ter­ri­bi­le bi­no­mio “sfrut­ta­men­to-igno­ran­za”. Sa­per leg­ge­re e scri­ve­re era que­stio­ne di vi­ta o di mor­te, di ri­spet­to, di le­ga­li­tà, di eman­ci­pa­zio­ne. Il pa­ca­to mae­stro di “Non è mai trop­po tar­di” non ave­va pau­ra di ri­schia­re la pel­le per di­fen­de­re l’al­tro. “Ogni al­tro so­no io” è una del­le fra­si che me­glio lo con­trad­di­stin­gue. Ave­re nel­le ma­ni le let­te­re de­gli spet­ta­to­ri di “Non è mai trop­po tar­di”, scrit­te tan­ti an­ni fa, pie­ne del­la gra­ti­tu­di­ne del­le per­so­ne, fa an­co­ra tre­ma­re le ma­ni. Man­zi par­la di mul­ti­cul­tu­ra nel 1954. Con Or­zo­wei, usa le im­ma­gi­ni per rom­pe­re gli ste­reo­ti­pi: è la M di mae­stro nel­l’ab­be­ce­da­rio che vie­ne rap­pre­sen­ta­ta da un mae­stro con la pel­le di co­lo­re ne­ro. È il mae­stro che in un car­ce­re mi­no­ri­le, co­me hai ac­cen­na­to, fa scri­ve­re ai ra­gaz­zi de­te­nu­ti un gior­na­le, il pri­mo, per da­re lo­ro la pa­ro­la ma an­che per edu­car­li al dia­lo­go. Era­no 94 i ra­gaz­zi del­l’A­ri­sti­de Ga­bel­li che gli fu­ro­no af­fi­da­ti, nel se­con­do do­po­guer­ra. So­lo due non riu­sci­ro­no a rein­se­rir­si co­me avreb­be­ro vo­lu­to, gli al­tri 92 tro­ve­ran­no la­vo­ro e si fa­ran­no una fa­mi­glia. Ne­gli an­ni del­l’in­se­gna­men­to in car­ce­re, Man­zi si lau­rea in Pe­da­go­gia. Che ti­po di rap­por­to ha avu­to con il mon­do del­l’U­ni­ver­si­tà, con il sa­pe­re ac­ca­de­mi­co, con la “pe­da­go­gia isti­tu­zio­na­le”? Man­zi avreb­be po­tu­to fa­re il do­cen­te uni­ver­si­ta­rio co­sì co­me il di­ri­gen­te sco­la­sti­co, ma per lui era im­pen­sa­bi­le ri­nun­cia­re al­la pri­ma li­nea, al la­vo­ro sul cam­po con le per­so­ne, al­la spe­ri­men­ta­zio­ne con­ti­nua. Man­zi ha fat­to tan­ta ri­cer­ca, cu­rio­so com’e­ra di con­te­sti, stru­men­ti, alun­ni sem­pre di­ver­si. Mae­stro in te­le­vi­sio­ne per gli anal­fa­be­ti ne­gli an­ni Ses­san­ta, ma an­che per gli “ex­tra­co­mu­ni­ta­ri” nei pri­mis­si­mi an­ni No­van­ta, per­ché po­tes­se­ro in­te­grar­si nel mi­glior mo­do pos­si­bi­le e nel mi­nor tem­po pos­si­bi­le. Pe­da­go­gi­sta e mae­stro at­ten­to al­la cre­sci­ta dei suoi bam­bi­ni: l’e­du­ca­re a pen­sa­re è il cuo­re del fa­re scuo­la del mae­stro Man­zi. Ogni oc­ca­sio­ne, si­tua­zio­ne, pre­te­sto ser­ve al mae­stro per far scat­ta­re nei bam­bi­ni una ten­sio­ne co­gni­ti­va, la vo­glia e il de­si­de­rio di sa­pe­re e ca­pi­re. Non è mai qual­co­sa di im­po­sto dal­l’al­to, ma un de­si­de­rio che il bam­bi­no sen­te na­sce­re den­tro di sé cui si ap­pas­sio­na per­ché con­di­vi­de la ri­cer­ca con i pro­pri com­pa­gni di clas­se e con un mae­stro ca­pa­ce di ri­leg­ge­re l’e­spe­rien­za e la co­no­scen­za dei bam­bi­ni. Co­me sti­mo­lar­li ad an­da­re ol­tre? Co­me su­pe­ra­re un pun­to mor­to? Qua­le… [ con­ti­nua ]

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