Peter Gray, Il tempo (libero) perduto dei bambini: “Ecco come liberarli dallo smartphone”

Il tempo (libero) perduto dei bambini: “Ecco come liberarli dallo smartphone”

di vera Schiavazzi

da www.repubblica.it/scienze

Arrampicarsi su un albero, giocare alla caccia al tesoro con gli amici, fare una gara di corsa e gettarsi nel fango. Il tutto prima dei dodici anni, e non solo perché lo consiglia il National Trust inglese né perché può sembrare romantico, ma per diventare più creativi e imparare a affrontare la vita con più coraggio e autonomia di chi ha passato un’infanzia tra videogiochi e playstation, senza mai incontrare bambini sconosciuti o sfuggire alla sorveglianza dei genitori.

Peter Gray, psicologo e biologo al Boston College, studia da anni gli indici di creatività dei ragazzini americani, constatandone il progressivo precipitare nella banalità. Tra il 1985 e il 2008, le risposte date al Test di Torrance, applicato nelle scuole americane, hanno fatto scendere l’85 per cento dei ragazzi intervistati sotto la media dei loro predecessori: non sono più capaci di fornire tante risposte (Fluency), né di darne di non scontate (Originality), né di trarre spunto da elementi diversi (Flexibility).

In altre parole, non sono più in grado di avere un’elaborazione creativa. E, di conseguenza, diventeranno più difficilmente imprenditori, inventori, presidi di college, scrittori, dottori, diplomatici o sviluppatori di software. Ora Gray, nel suo saggio (“Lasciateli giocare”, per Einaudi, in libreria da domani) che è già un bestseller in Usa, suggerisce a genitori e insegnanti di rivoluzionare i propri pensieri educativi. In casa, in giardino, in vacanza, i bambini non dovrebbero essere vigilati da vicino né indotti a partecipare (sempre) a sport rigidamente organizzati.

Meglio spogliarsi, dipingersi, giocare con un giornale o perfino fare a gara a chi si rinchiude meglio nell’armadio, sfidando la paura. Anche la disciplina scolastica rigida non è necessaria, come dimostrano i casi delle scuole più liberal (la Sydbury valley school del Massachussets, per esempio, dove sono gli allievi a decidere liberamente come e quando imparare a scrivere, fare di conto e adoperare un computer).

Una denuncia dura, quella di Gray: “Privare i bambini del diritto al gioco è sbagliato, ed è ora di smetterla”. Ma anche in Italia mamma, papà, scuola e amministrazioni civiche non sembrano essere sulla strada giusta. Solo il 6 per cento dei bambini, come spiega l’ultimo rapporto di Save the Children, ha diritto a scendere in strada da solo e solo il 25 per cento può giocare in cortile. Il 37 per cento dei piccoli, 3 milioni e 700 mila, cresce in città.

Il 51,6 vive in famiglie che non possono prevedere neppure una settimana di vacanza, il 47 per cento non legge un libro all’anno. Perfino giocare a calcio è difficile per i piccoli italiani, e per chi arriva da una famiglia straniera ancora di più: proibito negli spazi condominiali e in molti giardini urbani, si può fare nelle società sportive, ma con costi e orari che rendono lo sport nazionale accessibile solo a due bambini su 10. In questo modo però, cancellando dalla pratica infantile ogni abilità ereditata dai cacciatori-raccoglitori, cioè dai nostri antenati, non li si rende solo più tristi, ma anche più depressi, aggressivi e convinti di non riuscire neppure a superare l’ora di educazione fisica a scuola. Sicilia, Calabria e Campania solo in fanalino di coda per gli spazi di gioco collettivi, mentre solo a Bolzano, in Valle d’Aosta e in Toscana è possibile correre liberi nel verde, almeno durante il weekend.

Alle difficoltà logistiche va aggiunta la paura dei genitori, che temono sopra ogni altra cosa un ginocchio sbucciato da una caduta, la tendenza a spogliarsi e rivestirsi incuranti della temperatura e i pericoli che potrebbero arrivare ai fratelli più piccoli giocando con i maggiori, “Ma  –  avvisa Gray  –  così facendo si impedisce loro di imitare gli adulti, di cantare una canzone e di inventarne una nuova, di gestire la dose di paura che possono sopportare e di essere quindi incapaci di accogliere quelle che arriveranno dopo, a scuola o nello sport”.

Proteggerli, privarli dell’altalena o del pallone, difenderli furiosamente da qualunque sostanza possa sporcarli o contaminarli (dai piccioni alle cartacceagli animali domestici, fino ai giornali e al gelato, senza dimenticare il terrore degli insetti) e consegnare loro una tastiera di qualsiasi genere non vuole dire amarli, ma farli diventare ansiosi e disinteressati. Con la vita, e la scuola, percepire come una lunga serie di ostacoli.