Inghilterra, “scuole libere” finanziate dallo stato, di Bel Greenwood

UNA CITTÀ n. 187 / settembre 2011

Articolo di Bel Greenwood tradotto da Anna Hilbe

Lettera dall’Inghilterra

Cari amici,

bastano un paio di giorni per spazzare via l’estate intera con il suo retrogusto di pioggia e di rivolte. I bambini sono di nuovo al sicuro all’interno del loro “processo educativo”, mentre l’industria dell’insegnamento è tornata a fronteggiare le incertezze e le contraddizioni di una cultura scolastica che sta cambiando. Alcuni cambiamenti nell’istruzione sono molto ragionevoli e davvero benvenuti, dopo secoli in cui i nostri bambini venivano trattati con crudeltà gratuita, in cui picchiare i bambini a casa o a scuola era la prassi e in alcuni casi una prassi sadica.

 

Ricordo ancora oggi di quando ero bambina alle scuole elementari: la paura nella fila dei bambini che, fuori dallo studio del direttore, aspettavano di essere puniti. Non dimenticherò mai i colpi ricevuti con il doppio righello dietro alle gambe. La punizione corporale nelle scuole è stata legale fino agli anni Settanta quando iniziò a svilupparsi una forma d’ansia riguardo alla salute e alla sicurezza anche esagerata. Si arrivò al punto che vennero banditi giochi tradizionali come quello delle castagne, lo stesso lancio delle palle di neve fu considerato troppo rischioso e portare i bambini in gita scolastica significava confrontarsi con risme di carta per gli accertamenti su tutti i rischi possibili. Era più sicuro tenere i bambini in classe.

Sotto certi aspetti quella cultura sotto il governo di coalizione sta cambiando, più per caso però che per una precisa volontà. Ma ora che ci sarà più libertà di sperimentare l’istruzione fuori dalle classi, apprendendo in riva al mare, nei musei, nei teatri e nelle gallerie d’arte attraverso i sistemi della scuola libera, possiamo dire che tutti i bambini ne beneficeranno?

 

Cosa è una scuola libera? Risposta: una scuola aperta da genitori, insegnanti o gruppi confessionali fuori dal controllo dell’autorità locale e che risponde direttamente al Segretario dell’Istruzione. Sono un fiore all’occhiello per la politica e ricevono i fondi direttamente dal Ministero dell’Istruzione. Possono decidere la durata dell’anno scolastico, dei giorni di scuola, di sviluppare programmi di studi più liberi, più aperti anche se soggetti all’ispezione dell’Ofsted, l’ente di controllo per il sistema scolastico. Per l’iscrizione stabiliscono i propri criteri di selezione. Hanno uno spazio di movimento più ampio e maggiore autonomia finanziaria.

 

Questo settembre hanno aperto le porte ventiquattro scuole libere, alcune sono confessionali, altre erano scuole private a pagamento che ora vengono sovvenzionate dal governo; in West London, c’è una scuola aperta da un giornalista del Guardian, Toby Young, dove si insegnerà latino a tutti i bambini; altre ancora, come la scuola libera pilota in questa città, offrirà un orario prolungato per i genitori che lavorano in città, computer connessi a internet, netbook e grafica computerizzata per bambini, per poter istruirli anche fuori dalla scuola. La politica delle scuole libere non va vista separatamente da quel processo “accademico” che sta portando investimenti privati nelle scuole secondarie statali e un premio governativo di venticinque milioni per scuola, permettendo a questi istituti di amministrare il proprio budget fuori dal controllo dell’autorità locale. I sussidi finanziari sono troppo importanti per essere ignorati dalla maggior parte delle scuole e così ogni dieci scuole secondarie oggi una è un’”accademia”.

 

Tutto questo rappresenta una grande perdita per le autorità locali.

I sindacati degli insegnanti sono uniti contro queste scuole libere: temono una mancanza di equità, costi elevati e un numero eccessivo di agenzie di formazione. I presidi delle scuole primarie presenti in questa area sostengono che non c’è alcun bisogno di una nuova scuola e che, anzi, questa avrà un impatto negativo sulle iscrizioni nelle loro scuole e quindi sul loro budget. La preoccupazione è che, sebbene le scuole libere non siano state pensate per trarne profitto, apriranno comunque la strada alla possibilità di far soldi con l’istruzione. Si teme che gli standard calino anziché crescere, come sta succedendo in Svezia dove le scuole libere esistono da dieci anni; che aumentino le scuole confessionali e che questo incrementi le divisioni sociali e renda  il sistema educativo più frammentato.

 

David Cameron è venuto a vedere la Norwich Free School. È stata aperta da Tania Sidney Roberts che sognava di avere una scuola sua fin da quando aveva otto anni; in effetti, è un’impresa entusiasmante. Nel giro di un anno la scuola ha aperto le porte in un importante edificio georgiano, completamente attrezzato, che offrirà una straordinaria esperienza educativa ai suoi novantasei alunni. Il solo camminare all’interno di un edificio così grandioso deve ispirare un grande senso di fiducia nei bambini che la frequentano. Non c’è alcun dubbio che i novantasei bambini iscritti riceveranno da questa esperienza enormi benefici.

Ma gli obiettivi e l’ethos della scuola alla fine non sono diversi da quelli di una qualsiasi altra buona scuola elementare statale sotto il controllo dell’autorità locale. Poco più avanti nella stessa strada ce n’è appunto una, ma il primo ministro non ci andrà, né si congratulerà con il personale docente.

 

Tania Sidney Roberts è ansiosa di segnalare il lavoro eccellente che fanno le altre scuole primarie -in fondo per lei è solo la realizzazione del sogno di avere la propria scuola. Ma la politica, anche se lei lo nega, in quello che sta facendo c’entra eccome. Cameron, nel suo discorso alla scuola, ha colto l’opportunità per delineare i cambiamenti in programma, volti a ristabilire disciplina e alti standard nell’istruzione. Nel discorso ha parlato di misure atte a fornire più potere agli insegnanti per gestire gli studenti indisciplinati, ma anche di piani per prendere provvedimenti contro i genitori dei giovani con comportamenti scorretti. Fatto interessante: agli occhi del governo la maleducazione sembra appartenere solo ai bambini i cui genitori ricevono gli assegni familiari, come se tutti gli altri genitori fossero esempi di virtù, come se i genitori della classe media non avessero figli che sgarrano. E invece, nonostante il linguaggio adottato all’indomani dei disordini dell’estate (attenzione: non giustifico i comportamenti illegali) riguardo il “sottoproletariato selvaggio”, fra gli arrestati figuravano insegnanti, studenti universitari e gente di tutti i mestieri, come anche disoccupati e sottoccupati. Cameron, in piedi davanti al portico di un edificio costruito con i profitti provenienti da un’epoca agiata e conservatrice, ha detto che i genitori dei ragazzi che marinano la scuola perderanno gli assegni familiari se i loro figli continueranno a comportarsi male e a saltare le lezioni. “Abbiamo bisogno che i genitori partecipino realmente all’educazione dei loro figli, e siano pronti a pagarne le conseguenze se i loro figli continueranno a comportarsi male”. Cameron ha espresso anche il desiderio di vedere nelle classi un ritorno a un maggiore “rigore”, dando un taglio ai moduli e reintegrando gli elaborati scritti alla fine dei corsi, assicurandosi che quando si danno i voti si tenga conto della grammatica e della punteggiatura. Una modello che favorisce l’accademia; la stessa Sydney Roberts vi dirà che se il 20% dei bambini predilige questa forma di apprendimento, l’altro 80% preferisce un approccio più cinestetico. Non voglio addentrarmi nell’ortografia, nella grammatica e nella punteggiatura: sono strumenti che vanno recepiti e fanno parte di questa bellissima lingua, ma per quanto innocente questo desiderio possa sembrare, in realtà non lo è affatto perché la disuguaglianza di opportunità e speranze è troppo grande.

 

Polly Toynbee, in una serie di documentari radiofonici che prendono in esame la mobilità sociale e di classe, ha diffuso una ricerca che dimostra che già a cinque anni un bambino povero ha il 50% in meno di possibilità di riuscita rispetto a un bambino della classe media; il 50% di chance in meno nella competizione per una vita decente. La domanda allora è: le scuole libere sono davvero la risposta per riparare ai torti delle deprivazioni materiali e culturali o sono destinate, invece, ad allargare le disuguaglianze di opportunità nella nostra società?

© Belona Greenwood