Considerazioni sullo stato attuale della scuola primaria. Di Andrea Sola

Questo allargamento precoce dei saperi di cui sono destinatari i bambini già all’inizio del loro percorso scolastico, anche se apparentemente se ne distanzia, risponde da un certo punto di vista alla medesima logica del vecchio metodo basato sul nozionismo puro e sul predominio della quantificazione dei saperi e della conseguente utilizzazione del voto numerico.  

Questo  nuova modalità, formalizzata con l’abolizione dei vecchi programmi, rappresenta un nuovo sistema disciplinare che non si manifesta più nella espulsione degli incapaci (le bocciature sono ormai rarissime), ma nella imposizione di ritmi di apprendimento sempre più serrati; ciò provoca un altro genere di valutazione che non si misura più sul voto, ma sulla capacità di saper reggere ai ritmi di apprendimento prestabiliti. Spesso infatti queste nuove ‘competenze’ riguardano argomenti che non si possono valutare in termini quantitativi, con un voto quindi, ma che richiedono ‘soltanto’ attenzione e partecipazione. 

I nuovi argomenti sono i più svariati: da quelli oggi divenuti più ‘alla moda’ come tutto ciò che riguarda la sostenibilità ambientale, la educazione alla salute, all’uso delle nuove tecnologie, fino alla educazione emotiva e affettiva, alla educazione civica, ecc.Guarda caso però queste materie sono sempre tradotte in \proposte come dei \ contenuti di natura razionale, discorsiva: sono cioè tutti veicolati sullo schema dell’apprendimento nozionistico (per intenderci sullo stile delle “visite guidate”). Anche le esperienze apparentemente più eccentriche rispetto ai ritmi e ai contesti scolastici, come ad esempio le visite alle fattorie o alle mostre d’arte od ai laboratori di artigianato vario, vengono ridotte a nuove nozioni da apprendere, magari attraverso esercizi pratici (seminare, costruire una ciotola, dipingere ‘come’ …Van Gogh,ecc) ma tutti sempre basati sulla ripetizione pedissequa delle istruzioni impartite dall’esperto.

Quella che rimane perennemente esclusa dalle ‘competenze’ è la sperimentazione fatta attraverso l’apprendimento corporeo, cioè con la messa alla prova delle proprie capacità spontanee di apprendimento, che sono la vera chiave per un apprendimento profondo.

Eppure è ben noto che il vero apprendimento, sopratutto per i bambini più piccoli, passa attraverso il loro coinvolgimento emotivo, e che solo successivamente si potrà tradurre in contenuti discorsivi e quindi traducibili in concetti e valori razionali. E’ l’incapacità del sistema educativo a riconoscere questa verità elementare che produce un apparato trasmissivo vissuto dagli allievi con un senso di estraneità e di costante inadeguatezza. E’ così che le esperienze condotte nell’ambito scolastico si accompagnano quasi sempre con una sensazione di pesantezza e di forzosità, e quasi mai con gioia e soddisfazione. 

Ben diverse sono le impressioni che provano quando hanno la possibilità di vivere esperienze in cui provano la passione del fare, dello scoprire, dello sperimentare liberamente.

E’ questa modalità compulsiva e cerebrale di proporre l’esperienza dell’apprendimento che  provoca, come si sa, un altissima percentuale di allievi che non riescono ad adeguarvisi, che le vivono con un senso di costane inadeguatezza ed ansia da prestazione, manifestando così  i più svariati generi di disagio e disaffezione di fronte alla vita scolastica. Ed è da qui credo che si debba partire per affrontare anche il problema dell’abbandono scolastico che così pesantemente si manifesta oggi. (1)

Non a caso i bambini che vivono in contesti di maggiore svantaggio sociale e culturale sono quelli che più avrebbero bisogno di trovare un ambiente scolastico che compensasse le carenze di cura sofferte fuori dalla scuola. La cura dell’infanzia dovrebbe passare prima di tutto per l’attenzione ai loro bisogni psichici; direi che questo aspetto è addirittura più importante di quello puramente materiale (la carenza di strutture, sevizi, ecc). Avere docenti capaci (e liberi) di proporre una didattica che sia in grado di seguire e coinvolgere davvero gli allievi, avere scuole aperte al territorio e non arroccate in una pratica isolazionistica ed culturalmente asfittica, non comporterebbe di per sé nessun costo particolare. Questa è  naturalmente una prospettiva che richiederebbe di mettere in discussione una serie vastissima di problematiche, a cominciare dalla formazione dei docenti, che comporterebbero una rimessa in discussione della struttura autoritaria scolastica ancora fortemente radicata,  ma che sarebbe comunque possibile modificare, se davvero lo si volesse…

La domanda da porsi è quindi: come mai si sta diffondendo così facilmente questa didattica delle competenze e come mai il corpo docente, o almeno quello che pure ha dimostrato, una visione critica del metodo valutativo tradizionale,  si adegua così supinamente a questo genere di didattica senza sentire la necessità di porvi un freno? 

Pensare che l’attuale acquiescenza dipenda solo dalla capacità del cosiddetto “sistema” di condizionare i comportamenti, cioè da esigenze di ordine disciplinare ed efficentistico (che sono le uniche categorie sinora messe in campo per spiegare il fenomeno) non può essere una spiegazione sufficiente. 

Il fatto ad esempio che questa impostazione venga estesa anche ai più piccoli (a partire dai sei anni, se non prima) non si spiegherebbe solo con la necessità di preparare manodopera efficiente e sottomessa. Anzi, dal punto di vista della capacità di adattamento alle funzioni nuove richiesta dalla continua evoluzione delle tecniche produttive, una scuola che rispettasse le singole individualità sarebbe molto più efficace. 

Ma sopratutto il fatto che va compreso e spiegato è che questa impostazione venga considerata ‘normale’ dalla stragrande maggioranza della popolazione adulta coinvolta in una relazione educativa: nessuno si scandalizza del fatto che nelle scuole si mettano sotto pressione i bambini in maniera crescente, così come è considerato assolutamente benefico o quantomeno innocuo riempirli di attività anche al di fuori del tempo scolastico. Se si arriva a riconoscere che, si, i bambini hanno una vita dura, poi però si pensa che questo vada bene, che sia fatto per un fine giusto e condivisibile. Se non ci fosse questo retroterra culturale a fare da terreno di semina, simili politiche scolastiche non potrebbero attecchire.

Evidentemente è la motivazione ‘morale’ che continua ad affiorare come “sfondo integratore” del progetto economico. Le “ragioni economiche”, la brutalità del sistema capitalistico, il suo bisogno di avere schiavi ubbidienti e non uomini liberi e pensanti, fanno tutt’uno con l’eredità “morale” che è il portato dell’ideologia adultocentrica che accompagna tutte le società autoritarie sin dall’antichità. 

Quella che a mio parere va messa al centro dell’attenzione è la persistenza del bisogno adulto di tenere i giovani in una condizione di sottomissione per ragioni che hanno a che fare innanzitutto con l’equilibrio psichico dell’essere umano adulto. In realtà solo la crescita di stili di vita adulti alternativi a quelli delle competenze potrebbe far progressivamente abbandonare quella ideologia occulta. L’inerzia di un corpo sociale oppresso e privo di speranze nel cambiamento è quella che mantiene l’attuale propensione a trascurare i bisogni infantili ed a non avere scrupoli nel costringerli ad una vita di stenti.  (2)

NOTA 1 Questa accresciuto carico didattico determina la incapacità dei docenti di far fronte ai casi di maggiore disadattamento, rendendo necessario l’utilizzo di particolari figure (gli insegnanti di sostegno) che pur avendo il compito di integrare gli allievi in situazioni di svantaggio  all’interno della classe, di fatto, visto il tipo di pratiche didattiche adottate, spesso non possono che limitarsi a fare in modo che non ostacolino l’attività della classe; e ciò proprio per l’assenza di qualsiasi strumento (sia materiale che spesso anche culturale) a loro disposizione per modificare la prassi corrente e far seguire all’ alunno loro affidato un percorso alternativo a quello che sta conducendo la classe.

NOTA 2 L’argomento è trattato diffusamente nel libro “Infanzia e potere, origini e conseguenze di una oppressione”, di Andrea Sola (Edizioni Biblion).